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Il dolore che guarisce

 

urloDiceva il mio Professore di Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale: “Ricorda Cinzia il dolore profondo, emozionale, psichico che provano i tuoi pazienti è funzionale alla loro guarigione”. Ero molto giovane e con poca esperienza  non potevo capire fino in fondo le sue parole. Ora posso dire: ” E’ proprio il dolore ti aiuta ad uscire dal dolore!”

“Il dolore è lo spezzarsi del guscio
che racchiude la vostra conoscenza.
Come il nocciolo del frutto deve spezzarsi
affinché il suo cuore possa esporsi al sole,
così voi dovete conoscere il dolore.
E se riusciste a custodire in cuore la meraviglia
per i prodigi quotidiani della vita,
il dolore non vi meraviglierebbe meno della gioia;
accogliereste le stagioni del vostro cuore
come avreste sempre accolto le stagioni
che passano sui campi.
E vegliereste sereni durante gli inverni del vostro dolore.
Gran parte del vostro dolore è scelto da voi stessi.
È la pozione amara con la quale il medico che è in voi
guarisce il vostro male.
Quindi confidate in lui e bevete il suo
rimedio in serenità e in silenzio.
Poiché la sua mano, benché pesante e rude,
è retta dalla tenera mano dell’Invisibile,
e la coppa che vi porge,
nonostante bruci le vostre labbra,
è stata fatta con la creta che il Vasaio
ha bagnato di lacrime sacre”.

KHALIL GIBRAN, Il Profeta.

Il semaforo rosso: campana di consapevolezza

Cuore

Esco  per andare al lavoro, ho  fatto tardi e devo arrivare in orario per gli impegni che mi aspettano. Oggi il traffico è qualcosa di caotico, che sfida il mio impegno a mantermi nella pace e sfida l’equanimità  che giorno dopo giorno costruisco con le pratiche di pranayama e meditative del mattino presto. Equanimità… Riuscire a rimanere inseriti nel proprio quotidiano, nel proprio lavoro, nella famiglia che l’Universo mi ha donato, ma senza attaccamenti per i frutti delle mie azioni, libero dal risultato finale sia esso positivo o negativo. Il capitolo secondo verso 48 della Bhagavad Gita afferma “Lo yoga è equanimità”. Ma quando tutto ciò che ci circonda, impegni lavorativi, famigliari, vita veloce e serrata, tentano di minare il nostro equilibrio, con alcuni piccoli ma efficaci accorgimenti yogici possiamo fare la differenza. Si, perché molto spesso ciò che è veramente efficace è semplice e a portata di mano.

Quando con l’auto o il motorino siamo costretti a fermarci al semaforo, possiamo approfittarne per trasformare questo momento, in genere sgradito, in un’occasione di ricarica, benessere e crescita personale.
La regola generale, valida in tutti i casi, è di porre subito l’attenzione al proprio respiro, lo stratagemma che si usa per rientrare in sé stessi e calarsi nel momento presente. In quello che succede qui e ora.

Una prima possibilità consiste nell’approfittare della situazione per rilassare alcune parti fondamentali del nostro corpo, quelle su cui in genere si accumulano le tensioni e si scaricano le emozioni. Esempio:

  • inspirando, calmo il corpo;
  • espirando, rilasso il collo e le spalle.

Si può anche applicare agli occhi, oppure alla bocca.
In alternativa, si può seguire il movimento dell’addome, che si comprime con l’inspirazione e si espande con l’espirazione.

Tutto ciò è molto utile per spezzare l’abituale tensione della giornata tipica in città. È facile da realizzare ed è completamente gratuito, a differenza dei vari medici e terapisti cui ci capita di ricorrere per via dello stress.

Il maestro zen Thich Nhat Hanh invita a vedere il semaforo come una campana di consapevolezza e quindi a sorridergli, se lo troviamo rosso, tornando ancora una volta al respiro:

  • inspirando mi calmo;
  • espirando, sorrido.

Altrimenti  seguendo i consigli di Tetsugen Serra (Zen, Fabbri editori, 2005) rimaniamo immobili e, respirando profondamente, osserviamo tutto ciò che scorre dinanzi a noi. Invece di restare immersi nei nostri pensieri cerchiamo di essere immersi nella Vita, ben consapevoli della realtà circostante. Dopo pochi minuti cominceremo a percepirla con occhi diversi. Con più lucidità, con la consapevolezza che dona una nuova Luce e ci fa notare cose e persone che avevamo tutti i giorni davanti a noi, ma che a causa del flusso “assordante” dei nostri pensieri noi semplicemente non riuscivamo a “vedere”. Provate, sperimentate e costruite giorno dopo giorno la vostra equanimità. Farete la differenza.

Il monaco Thich Nhat Hanh così ci isegna:

“Ho un esercizio di respirazione che vorrei offrirvi. Sono sicuro che se seguirete questo esercizio nei momenti difficili, ne trarrete sollievo.

Inspirando, so che sto inspirando.

Espirando, so che sto espirando.

Inspirando noto che l’inspirazione si è fatta più profonda.

Espirando noto che l’espirazione si è fatta più lenta.

Inspirando, mi calmo; espirando, mi sento a mio agio.

Inspirando, sorrido; espirando, lascio andare.

Inspirando, dimoro nel momento presente.

Espirando, so che è un momento meraviglioso.

Questi versi possono essere riassunti nel modo seguente:

Dentro, fuori; profondo, lento;

calma, agio; sorrido, lascio andare;

momento presente, momento meraviglioso…”

Fonte: Thich Nhat Hanh – Libero ovunque tu sia –  Zeninthecity

Il peso dell’acqua

Libertà-interiore[1]

Uno psicologo stava spiegando come gestire meglio lo stress. Quando sollevò un bicchiere d’acqua, tutto il pubblico immaginò che avrebbe posto la solita domanda…: “Bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto?”
Quello che invece domandò fu: “Quanto credete che pesi questo bicchiere d’acqua?”
Le risposte variarono da 250 a 400 grammi.
“Il peso assoluto non conta, – replicò lo psicologo – dipende dal tempo per cui lo reggo. Se lo sollevo per un minuto, non è un problema. Se lo sostengo per un’ora, il braccio mi farà male. Se lo sollevo per tutto il giorno, il mio braccio sarà intorpidito e paralizzato. In ogni caso il peso del bicchiere non cambia, ma più a lungo lo sostengo, più pesante diventa.” E continuò: “Gli stress e le preoccupazioni della vita sono come quel bicchiere d’acqua. Se ci pensate per un momento, non accade nulla. Pensateci un po’ più a lungo e incominciano a far male. E se ci pensate per tutto il giorno, vi sentirete paralizzati e incapaci di far qualunque cosa.”
E’ importante ricordarsi di lasciare andare i nostri stress. Alla sera, il più presto possibile, posiamo i nostri fardelli. Non portatiamoceli addosso per tutta la sera e tutta la notte. Ricordiamoci di posare il bicchiere d’acqua!

Corpo flessibile e corpo rigido

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Cari amici dello yoga ben ritrovati al nostro periodico appuntamento. Inizia un nuovo anno dove semineremo semi di pratica e consapevolezza, dei quali avremo il frutto nei mesi a venire. Una domanda che spesso gli studenti rivolgono agli insegnanti, è sulla mancata flessibilità del loro corpo, specialmente quegli studenti che hanno appena iniziato a praticare. Anche io, come loro, ricordo i miei vani tentativi di Uttanasa, Supta Virasana, Urdhva Dhanurasana, ecc. pensandomi come un caso senza speranza.

Ma lo svantaggio apparente di avere un corpo rigido o delle aree critiche da lavorare, dona a lunga scadenza una capacità di ascoltare il nostro corpo e una capacità interattiva tra mente, corpo e intelligenza che saranno una risorsa nella pratica e nell’insegnamento. A tale scopo riporto uno stralcio d’intervista fatta ad Iyengar nel 1992, dove Guruji descrive brevemente ma perfettamente le differenze che ci sono tra un corpo flessibile e un corpo meno flessibile, e le potenzialità di entrambi.

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“Molti vedono le fotografie degli asana e pensano che un corpo  flessibile da solo sia in grado di eseguire tali asana. Ma occorre sapere che spesso anche il corpo sottile non riesce a dare riscontro al cervello o alla mente, perché manca di sensibilità. Sebbene la flessibilità del corpo eviti l’esperienza del dolore, esso grava sui nervi, provocando affaticamento, inquietudine e dolore o pesantezza alla testa.

I soggetti flessibili nella pratica esauriscono le energie anziché riceverle; le cellule vengono “spremute” e questo può indurre una infinità di malattie. Il corpo flessibile non stimola l’intelligenza a riflettere su cosa ci sia di sbagliato o di giusto  nella esecuzione di un asana. Al contrario il corpo rigido ha resistenza, azione e opposizione che spingono l’intelligenza a studiare gli asana nella giusta prospettiva.

Nel corpo flessibile non esiste azione, opposizione o resistenza che forniscano stimoli per il pensiero intellettuale e la stabilità emotiva: i praticanti entrano facilmente negli asana senza provare dentro di sé alcuna resistenza né risposta. Quando durante la gravidanza non si sente alcuna risposta, affiora la paura che il bambino non si muova perché privo di vita. Analogamente, l’asana eseguito senza resistenza è un asana privo di vita: come un bimbo nato morto.

Supponete inoltre di ricordare una poesia parola per parola senza conoscerne il significato. Ha senso secondo voi? Solo nel momento in cui conoscete la profondità del significato della poesia iniziate ad apprezzarla. Tale apprezzamento è interazione. Iniziate a riflettere sui versi e la riflessione si riverbera su di voi inducendo pensieri nuovi.

Similmente, mentre si entra in un asana o lo si mantiene, ci deve essere interazione fra corpo e mente come pure fra mente e intelligenza. Può essere che il corpo agisca ma la mente deve reagire. L’intelligenza deve riflettere sulla interazione tra corpo e mente: altrimenti il corpo fa da sé senza mandare alcun messaggio alla mente o all’intelligenza. In questo modo le porte non sia aprono all’intelligenza che non riesce a penetrare all’interno o all’esterno dell’asana, mancando di svilupparla appieno”.

“SE IL CORPO E’ FLESSIBILE, LA MENTE DEVE RESISTERE  E DIVENTARE DURA, AFFINCHE’ IL CORPO POSSA ESEGUIRE GLI ASANA”  B.K.S.Iyengar

 

Fonte: tratto da “Seed of pratical Yoga sown in America”, intervista di Laurie Blakeney, Rose Richardson, Sue Salaniuk e Tony Fhurman, Luglio 1992. Pubblicata da “Yoga 93, American Yoga Convention”, Ann Arbor, Michigan, 1993.

 

Neurofisiologia della meditazione

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Dhyana o meditazione è il settimo angha, o ramo, dell’ottuplice sentiero di Patanjali e in chi pratica lo yoga è un elemento da sviluppare accanto alla pratica degli asana.

Il grande rishi Patanjali aveva così strutturato l’Ashtanga Yoga od ottuplice sentiero: Yama, Nyama, Asana, Pranayama, Pratyahara, Dharana, Dhyana, Samadhi. Come si può notare, Dhyana viene dopo Pranayama (controllo del flusso del prana tramite il respiro), Prathyahara (il ritiro del flusso degli organi dei sensi verso l’interno) e Dharana (la concentrazione).

Nella tradizione del kriya yoga di Lahiri Mahasaya viene insegnato al praticante a regolare il flusso del prana vayu per renderlo calmo, con una quotidiana e regolare pratica del pranayama. Attraverso la pratica si placa il flusso tumultuoso di respiro e prana, ottenendo così gradualmente il Pratyahara, ovvero il ritiro della mente dai sensi  verso l’interno. Solo allora la mente non sarà trascinata come le foglie dal vento nei vortici delle attrazioni o repulsioni dei sensi: a quel punto la mente viene resa ekagrata, fissa cioè in un unico punto. È lo stadio di Dharana o concentrazione. E quando Dharana viene mantenuto yogicamente, come un filo di olio che scorre ininterrottamente da un recipiente all’altro, esso pian piano ci introduce allo stato di meditazione, o Dhyana.

Riflettete perciò su quanto sia sottile il lavoro che sottende la meditazione: stabilità e capacità di poter sedere in una postura comoda e stabile; controllo del flusso del prana per poter stabilizzare la mente; capacità di poter ritirare la mente dai sensi verso l’interno; mantenere la mente su un unico punto, concentrandola come si fa con i raggi solari convogliandoli in un punto con una lente d’ingrandimento; mantenere gradualmente  quel flusso di concentrazione per poi fluire con la luce del proprio essere più profondo, o Dhyana.

Scriverò altri post più approfonditi sui vari angha dell’ottuplice sentiero, per poterne avere  una visione anche alla luce delle pratiche meditative e per potervi lasciare ulteriori spunti per la vostra pratica e la vostra ricerca personale.

Aggiungo il link a un post di Yoga Sutra  un interessante blog che ho avuto la fortuna di incontrare e che condivido con tutti i sinceri ricercatori dello yoga: 4 studi scientifici su meditazione, sistema nervoso e circolazione. Tratta degli effetti meravigliosi sul sistema sul sistema nervoso quando si effettua anche un minimo di pratica meditativa.

La capacità di aiutare gli studenti nello Yoga

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Cari amici dello yoga, il post che vi propongo oggi parla di come aiutare i praticanti nelle varie problematiche fisiche e psicologiche utilizzando gli strumenti dello yoga. Leggendo e rileggendo gli insegnamenti di B.K.S. Iyengar e sforzandomi di coglierne l’intimo e profondo significato, ho notato la sua straordinaria capacità di osservazione verso i suoi studenti. Tutto questo mi ha fatto riflettere su quanto ancora c’è da migliorare, affinare e approfondire sulle strategie dello yoga terapeutico, un aspetto dello yoga che mi ha sempre affascinato. Scorrendo le sue parole risultano evidenti le profondità abissali dalle quali Guruji esaminava lo yoga terapia. Egli si chiedeva dapprima “Come possiamo stimolare gli organi interni senza rischiare di irritarli?”

Egli suddivise quindi due tipi di azioni e movimenti di approccio terapeutico: un movimento stimolante e un movimento vigoroso, cercando di collocarli saggiamente nelle sue modalità d’insegnamento. Tanto per cominciare negli studenti che cercava di aiutare, toglieva tutti i movimenti che non erano a loro congeniali, ai loro disturbi e alle loro sofferenze. Poi iniziava con una tipologia di lavoro stimolante che preparasse il corpo e la mente degli allievi prima di portarli verso un livello di lavoro vigoroso. E anche quando veniva fatto eseguire quest’ultimo vigoroso approccio allo yoga, lo si faceva in maniera graduale e progressivamente intensa. Parlando con Garth Mc Lean ho avuto riscontro di queso metodo didattico dello yoga Iyengar nelle varie patologie: ascoltare la sua esperienza di percorso yogaterapeutico con Guruji, è stato per me illuminante. Man mano che il lavoro vigoroso si sviluppava, l’occhio vigile di Iyengar studiava se gli studenti potessero sopportare questo graduale incremento del livello di pratica, andando una spanna ogni volta oltre le loro già conquistate possibilità, e ogni volta riaggiustando saggiamente per non far perdere quella sensazione di rigenerante vigore nel corpo. Profonde e illuminanti le parole di Iyengar sul movimento stimolante e vigoroso:

“Per movimento vigoroso, io non intendo qualcosa che irriti la mente. Uno stress sbagliato provoca una irritazione nel corpo come pure nella mente. Il momento che dovessi ricevere questo messaggio dai loro linguaggi corporei, dovrei di nuovo apprendere e rilavorare per far si che quello stress sbagliato non sia percepito su quell’organo interno e sulla mente. In questo modo ho imparato come diventare un insegnante bravo ed esigente.”

Iyengar leggeva attentamente le diagnosi mediche con le quali alcuni dei suoi studenti si presentavano, cercando di capire quale fosse la “velocità” con la quale la malattia aveva attaccato gli organi di quelle persone. Poi soppesava il coraggio che lo studente possedeva, studiandolo attentamente negli asana se fosse idoneo a sopportare il peso di quella pratica, osservando la mobilità articolare e i vari movimenti.

“Quindi devo creare fiducia nello studente se vedo che quella persona non ne ha, facendogli lavorare asana piacevoli. In quel momento non tratto mai la malattia. Per prima cosa coltiverò il loro corpo e la loro mente affinchè sviluppino il potere della tolleranza. Dopo procederò con gli asana attaccando la malattia direttamente. Fino ad allora, do tempo e creo confidenza in quella persona per fargli sentire che l’asana è confortevole, nella zona malata.Quando un liquido è mantenuto nel vuoto, è sotto una certa pressione. La pressione è persa quando si rilascia il vuoto. Nello stesso modo in una persona malata il vuoto mentale è molto potente. Quindi io devo togliere il vuoto dai loro corpi così che la tranquillità della mente e il flusso ritmico dell’energia sia rilasciato nelle fibre e nel sistema nervoso, per sortire l’effetto di guarigione. Quando questo viene rilasciato, lavoro nelle zone circostanti, che sono lievemente distali dall’area malata prima riarmonizzandole, e poi aspettandomi un feedback. Non procedo mai oltre se non c’è un feedback. Ogni momento chiedo – me va? Come stai? – A volte mi dicono bene, altre volte male, altre volte insopportabile, a volte non riesco a capire. Dai loro feedback mi adopero per aggiustare gli asana uno dopo l’altro.”

Descrivere l’esperienza di Iyengar sull’aiuto che lo yoga può dare ai praticanti richiederebbe ore di scrittura, e solo su queste parole penso che non mi basterà una vita di lavoro tra studio e applicazione dei principi dello yogaterapia. Penso solo a quanta ricerca, dedizione e disciplina siano stati necessari per far si che oggi possiamo godere di tanta ricchezza e varietà tra serie terapeutiche, variazioni degli asana per ogni caso specifico e props che guidano il corpo verso l’esecuzione corretta e sicura dell’asana.

All’osservatore superficiale sembra che tanta ricchezza tra asana e pranayama sia scontata e ovvia. Ma a un occhio attento e profondo non sfugge che dietro a tanta preziosa eredità, ci sia stata una vita di amorevole disciplina e ricerca instancabile nel campo dello yoga e delle sue infinite applicazioni. A voi studenti che usufruite di tanta armonia praticando lo yoga, dico di rivolgere un pensiero di Luce a chi ha reso possibile la sua diffusione e a chi, con tanti tentativi, errori e piccole vittorie, cerca di fare il massimo per farvi giungere questa scienza sacra incorrotta. A noi che abbiamo il delicato onere di insegnare e tramandare onestamente lo yoga, chiedo di non perdere mai quello slancio vitale, quel Fuoco Sacro interiore, quell’entusiasmo necessari per aiutare i nostri simili lungo le vie impervie di questo sentiero. La parola entusiasmo deriva dal greco “En Theos” che significa unito a Dio, con Dio dentro di sé. Se perdiamo questa unione , yoga, con la nostra parte spirituale come potremo mai insegnare questa divina arte, antica come l’Himalaya? Vi auguro una buona pratica…

Fonte: Yoga Rahasya, serie di articoli sullo yoga terapia, anni 1994-2009

LE RISORSE DELLO YOGA PER GLI STATI ANSIOGENI

Cari amici dello yoga, il post di oggi parla delle molteplici risorse che la pratica dello yoga ci mette a disposizione per aiutarci a fare fronte verso una problematica tipica della società dei nostri giorni: gli stati ansiogeni. Nella mia esperienza di insegnamento dello yoga, svolgo un lavoro incrociato con la psicologa-psicoterapeuta Cinzia De Angelis dove spesso si integra il lavoro psicoterapeutico con le pratiche dello yoga Iyengar. I risultati sono stupendi. Persone con vissuti traumatici dolorosi riassaporano lentamente i primi barlumi di pace mentale, il ritmo sonno-veglia si ristabilisce, gli stati ansiogeni che generano diversi disturbi psicosomatici iniziano ad allentare la presa sulla mente dei praticanti. E tutto questo in tempo apprezzabile. Ai giorni nostri la competitività in campo lavorativo, la sempre crescente velocità dei ritmi di vita, la miriade d’informazioni che il nostro cervello è costretto ogni giorno a processare causano un livello di distress ingestibile per il nostro sistema nervoso. A causa di tutto questo gli stati ansiogeni sono il vissuto emotivo quotidiano di molti e spesso si cronicizzano a tal punto da sabotare il normale svolgimento della vita personale. Sono disordini mentali da non sottovalutare e molto più comuni di quel che si immagina: panico, paure, angoscia che inabilitano le normali attività sociali di un individuo, iperattività motoria, palpitazioni cardiache, alterazione del ritmo sonno-veglia, disturbi del comportamento ecc. Le cause possono essere indotte (traumi) o genetiche, ma quel che a noi interessa è come lo yoga possa intervenire per ridurre la complessa sintomatologia di questi disordini mentali. Negli Yoga Sutra capitolo 2.3 Sadhana Pada, Patanjali parla dei Klesha o afflizioni mentali e di come sia indispensabile la pratica dello yoga per avere la disciplina della mente e dei pensieri. La pratica di una corretta sequenzialità di asana e di pranayama mirati a dare sollievo a queste sofferenze mentali, allevierà con successo i disturbi psicosomatici appena descritti. Uno studio pubblicato nel maggio del 2007 sul Journal of Alternative and Complementary Medicine ha dimostrato che i livelli di GABA aumentano dopo anche solo una sessione di yoga. Il GABA è il principale neurotrasmettitore che inibisce la trasmissione nervosa al cervello, agendo così come calmante. Questo indica come lo yoga contribuisce ad alleviare quei disordini legati a bassi livelli di GABA come l’ansia e la depressione. Uno studio medico dell’Università di Westminster parla chiaramente dei profondi effetti ottenuti su un campione pazienti donne con un periodo di pratica di due mesi per cinque volte a settimana, comparato con un altro campione di pazienti donne trattate solo farmacologicamente. I risultati che ne scaturirono furono soddisfacenti. Fu effettuata una seconda indagine con lo yogaterapia sugli effetti dello yoga per la depressione e l’ansia femminile, dove un numero di 34 pazienti che praticarono due volte a settimana per novanta minuti a sessione, fu messa a riscontro con un numero di 31 pazienti che non ricevettero alcun trattamento con lo yoga. Dopo appena due mesi di pratica i livelli di ansia del gruppo delle praticanti diminuì sensibilmente, molto più che nel gruppo-controllo delle 31 che non fecero nessuna pratica. I risultati furono così sorprendenti che i ricercatori conclusero che lo yoga rappresenta un eccellente supporto di complemento nell’approccio psicoterapico ai disturbi comportamentali ansiogeni, in quanto reca sollievo dallo stress, dona una consapevolezza mentale più acuta e permette una modulazione ottimale delle endorfine: la sensazione di paura, smarrimento e impotenza viene resa gestibile, cosa che permette una migliore qualità di vita nei pazienti. Voglio invitare voi tutti al seminario su “Yoga e gestione dell’ansia” di sabato 11 febbraio, tenuto dalla Dottoressa Cinzia De Angelis e da me nel Centro Yoga Surya di Civitavecchia. Verrà spiegato come gestire i vari disturbi ansiogeni a cura della psicologa unito ad una pratica di asana e pranayama mirata per ridurne i sintomi. Se lo yoga è studiato correttamente e correttamente praticato anche tra le quattro mura di casa, i suoi effetti sorprendenti non tarderanno a presentarsi. Vi auguro una buona pratica rigenerante!